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25 Gen 2016
Se il decreto legislativo per riformare l'amministrazione portuale italiana diventerà esecutivo nella sua forma attuale, l'esecutivo italiano aprirà una terza via bisecante i tradizionali regimi di governo portuale in vigore nei porti nordeuropei e in quelli sudeuropei. I primi sono in genere retti da consigli di amministrazione nominati da amministrazioni cittadine e locali che beneficiano direttamente dei risultati economici prodotti dalle attività portuali. I porti del Sud Europa sono governati da comitati gestionali in cui figurano rappresentanti dello Stato, delle istituzioni regionali, locali e cittadine ed esponenti dell'autorità marittima, delle imprese e dei sindacati.
Con il nuovo provvedimento l'esecutivo italiano intende assegnare la guida dei porti nazionali ad un Comitato di gestione con un presidente nominato dal governo, con gli altri pochi componenti designati dalle Regioni e dai Comuni e con un rappresentante dell'autorità marittima, autorizzato però a votare solamente sulle questioni di competenza ( del 21 gennaio 2015).
A prima vista la procedura di investitura del nuovo Comitato di gestione italiano sembra analoga a quella attuata in Nord Europa. Ad un esame più approfondito si presenta evidente una cruciale difformità: quella tra gli azionisti che nominano i Board dei porti nordeuropei e gli azionisti che assegneranno le cariche nei nuovi Board dei porti italiani. I primi sono direttamente interessati alla redditività del loro investimento, i secondi lo sono molto meno.
In Nord Europa i grandi porti marittimi sono per lo più di intera proprietà delle istituzioni locali o sotto il loro controllo, mentre in Italia sono di proprietà demaniale. Annualmente i porti nordeuropei versano ingenti quantità di danaro nelle casse delle istituzioni che li possiedono o li controllano, che a loro volta li reinvestono in parte per lo sviluppo delle infrastrutture portuali. In Italia è lo Stato a beneficiare economicamente della quasi totalità dell'attività dei porti ed è sempre lo Stato a pagare la realizzazione delle principali opere portuali.
In Nord Europa le istituzioni locali hanno un preciso interesse a che i porti siano guidati da dirigenti e manager in grado di mantenere e accrescere la competitività dei porti. I nuovi Comitati di gestione dei porti italiani saranno formati per la quasi totalità da rappresentanti di enti che non beneficiano direttamente dei proventi dei porti. I Board portuali italiani saranno costituiti da componenti nominati da azionisti il cui interesse precipuo non è quello di garantire un ritorno dell'investimento ma di rispondere a quelli che a loro volta sono i loro azionisti, ovvero agli elettori. Questi ultimi, per svariate ragioni, sono poco propensi a sopportare i vincoli e i disagi provocati da intense attività portuali i cui benefici limitatamente si riversano sulle comunità che le ospitano.
Nei porti del Sud Europa l'insufficiente interesse diretto allo sviluppo del porto da parte dei rappresentanti delle comunità locali in seno ai Comitati portuali è controbilanciato da componenti nominati da organismi e rappresentanze del mondo economico e del lavoro. Nei nuovi Comitati di gestione dei porti italiani il rappresentante dell'unico e vero azionista del porto, ovvero lo Stato, sarà il presidente, che il decreto legislativo assicura avrà «ampi poteri decisionali». Inoltre il presidente dovrà essere scelto fra candidati dalla «comprovata esperienza e qualificazione professionale», formula ancora più generica rispetto alla «massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale» richiesta dalla legge n. 84 del 1994 per la nomina dei presidenti delle attuali Autorità Portuali.
Tra la gestione manageriale tipica dei porti nordeuropei e quella collegiale propria dei porti sudeuropei il governo italiano sembra indirizzato verso una gestione statalista degli scali portuali. Una terza via che appare percorribile, quale che sarà la destinazione verso cui condurrà, solo in funzione dell'ampiezza dei poteri decisionali assegnati al presidente designato dall'azionista del porto.
È singolare che dalle categorie economiche, che il decreto legislativo esclude dal governo dei porti, siano giunte alcune autorevoli voci di apprezzamento al provvedimento. A queste categorie l'esecutivo guidato da Matteo Renzi propone di dialogare sui temi portuali nell'ambito di un Tavolo di Partenariato della Risorsa Mare, nuovo organo che sarà costituito in ciascuna Autorità di Sistema Portuale, ma con sole funzioni consultive.
È comprensibile che alcuni rappresentanti di istituzioni locali si siano affrettati ad applaudire il passaggio di mercoledì in Consiglio dei ministri del decreto legislativo, che premia i porti sotto la loro giurisdizione designandoli sede di una delle 15 nuove Autorità di Sistema Portuale. Una soddisfazione non condivisibile se espressa da presidenti di Autorità Portuali, ben consci delle contrapposizioni che in Comitato Portuale sorgono con i sindaci, soprattutto da quando il primo cittadino è espressione diretta del corpo elettorale locale.
È sorprendente inoltre che il progetto di provvedimento legislativo, pur nella sua odierna forma provvisoria, sia assai lacunoso non includendo diversi aspetti cruciali dell'amministrazione e dell'operatività portuale, primo fra tutti quello del lavoro, un tema che è di estrema attualità dato che il minore ricorso alla manodopera conseguente alla riduzione dei traffici marittimi causata dalla crisi economica sta costringendo le Autorità Portuali ad inventarsi soluzioni per garantire la pace sociale sulle banchine, espedienti che non sempre corrono nel solco della normativa attualmente in vigore.
Fonte: INFORMARE